Non ha funzionato. L’accordo di vertice fra Bersani e Berlusconi, per chiudere al primo colpo la successione di Napolitano al Quirinale, si è dimostrato un clamoroso fallimento. La candidatura di Franco Marini, che già ieri aveva scatenato una durissima reazione negativa all’interno del centrosinistra e dello stesso Pd, si è rivelata ancora più debole di quanto si pensasse: appena 521 voti a favore, quando per arrivare al traguardo ne sarebbero serviti almeno 672.
Una debacle che a quanto sembra ha azzerato l’intesa, trasformando i prossimi due scrutini, in cui è ancora richiesta la maggioranza di due terzi, in un passaggio a vuoto deliberato. La strategia – chiamiamola così – sarebbe quella di prendere tempo, in modo da rinviare tutto al quarto scrutinio o a quelli successivi, quando invece sarà sufficiente la maggioranza del 50 per cento.
E se Alfano prova a rilanciare l’opzione Marini, rimarcando che «ha comunque superato la maggioranza assoluta degli aventi diritto al voto», è già partita la caccia a un’ipotesi alternativa. “Alternativa”, va da sé, nell’accezione più limitata, e ingannevole, del termine.
Basti dire che, tra gli altri, è rispuntato il nome di Prodi.